giovedì 30 marzo 2017

Il lavoro che ho compiuto sul mio romanzo

Chi di voi ha l'onore e il privilegio di conoscermi da molto tempo (non tiratemi troppi pomodori, ho appena lavato i capelli!..) sa che scrivere è da sempre la mia più grande passione e ciò che in assoluto mi riesce meglio, non solo a mia modestissima opinione ma anche secondo miei professori di ogni ordine e istituzione e vari lettori che ho avuto nel corso dei secoli, dai più semplici ai più severi, da quelli reali agli sconosciuti online.

Ebbene sì, ho scritto un romanzo! Il primo di una trilogia, attualmente in valutazione da parte di alcuni editori. Permettetemi di cominciare chiedendovi gentilmente di incrociare le dita per me (non si sa mai!)

Si tratta, finalmente, di una creatura originale e completa. Entrambi i requisiti si sono compiuti insieme per la prima volta a discapito delle tonnellate di povere opere incompiute o fanfiction chilometriche che giacciono nella mia cartella dei documenti.

Come genere si avvicina al fantasy, anche se non ne rispecchia perfettamente i canoni. Sappiamo dall'esperienza, più che dal vocabolario, che il fantasy racchiude tutte quelle storie in cui regna il sovrannaturale, l'immaginazione, gli ambienti surreali e i personaggi fantastici: gnomi, fate, troll, streghe e via dicendo; la trama rispetta le regole della fabula, con buoni e cattivi nettamente distinti e l'elemento dominante: la magia.
Il mio romanzo è ambientato in un "quieto" medioevo immaginario, e non vi è alcun elemento magico se non ciò che dà il nome alla saga, ovvero i Monili di Kyanaar. Almeno all'inizio, e non lo dico per incuriosire, ma perché non lo so nemmeno io. ;P

È una storia di guerra e di sesso, di macchinazioni e artefici, di illusioni e tradimenti.

Ci sono due apparenti protagonisti, un ragazzo di quasi 20 anni e una donna sulla trentina. Si può dire che sono i protagonisti perché la maggior parte delle soggettive viene da loro, ma molte appartengono anche ad altri personaggi, persino introdotti successivamente.
Il primo è Roman, un giovane e dotato gladiatore che in breve tempo diventerà campione dei giochi; è un ragazzo proveniente dalle campagne, semplice e non avvezzo alla ribalta della sua precoce vittoria, né tantomeno avvezzo alle attenzioni di una Regina, Brisel di Ameris.
La seconda è Kali, capitano della sezione segreta di Re Ammon di Paqek; unica ufficiale donna a corte, difende la sua posizione grazie alla sua astuzia, all'abilità di scomparire nell'oscurità e di manipolare le sue vittime; svilupperà un contorto rapporto con Blake, il più sfrontato dei capitani di Ammon.

La storia comincia con la presa di Nakaba, il terzo dei tre regni delle Terre Verdi, da parte di Ammon.

Farne un riassunto è molto difficile; la trama varia in più punti così come le relazioni tra i personaggi e persino i loro ruoli. Ogni accenno può rivelarsi un piccolo spoiler ed è mio desiderio non anticipare nulla, in particolare a chi poi lo leggerà. Mi piacerebbe che i futuri commenti siano il più possibile immacolati e svincolati da ogni costrutto mentale definito da eventuali trailer. Senza contare che così il libro si gode molto di più!

Il secondo episodio è già in cantiere; se mai qualcuno deciderà di concedere fiducia alle mie capacità e pubblicare il romanzo giuro che sarete i primi a saperlo.

Magari non proprio i primi... Ma le urla di gioia le udirete da ovunque vi troviate. ;)




Desidero ora spendere due parole in serietà riguardo un tema che va oltre il contenuto del libro.

E il tema è la motivazione.

Nella mia breve vita ho subìto le conseguenze di non avere le giuste motivazioni finendo a imboccare strade più battute e meno redditizie. E questa conseguenza è sfociata nella mia laurea, una laurea di cui mi sono accontentata, che ho scelto di intraprendere in un periodo della mia vita dove ogni certezza mi scivolava via dalle dita, e dove nessuno credeva in me, nemmeno le persone a me più care.

Un giorno, sette anni dopo quel triste episodio che non smetterò mai di rimpiangere, ho deciso di dare una svolta e di impegnare tutta me stessa per esaudire il mio sogno più grande; e mi sono imposta che l'avrei portato a termine con le mie sole forze ed energie, senza il sostegno di nessuno, senza che nessuno credesse in me o dicesse "ce la puoi fare". Me lo sono detta da sola, "ce la puoi fare".

Ho lavorato un anno intero su questo romanzo. Ogni mattina, quando non ero impegnata in qualche colloquio dall'esito negativo, mi mettevo davanti a quel file denominato "Romanzo.docx", anche semplicemente per fissarlo senza muovere un dito, ma mantenendomi sempre concentrata appieno su ciò che volevo fare. Poi il giorno dopo rileggevo, non mi piaceva e modificavo finché non ero soddisfatta, e andavo avanti così finché, alla quarta rilettura generale, ho ritenuto di aver ufficialmente concluso.

I miei genitori nemmeno sapevano che stessi scrivendo; il mio fidanzato lo sapeva, e leggeva ogni capitolo non appena sfornato, dandomi anche qualche dritta per migliorarlo, ma lui non può comprendere l'ampiezza della mia ambizione, oltre ad essere caratterialmente del tutto incapace a incoraggiare o a esternare la propria fiducia nel prossimo (giuro che ha anche dei pregi!)

Tutti loro però mi hanno col tempo insegnato, indirettamente ovvio, a bastarmi da sola, a credere davvero in me stessa e a prendere le scelte che sono più giuste per me.

Ho tenuto duro e ho raggiunto il primo traguardo che mi condurrà dritta verso il mio sogno.

Io credo in ciò che ho fatto, sono convinta di aver creato qualcosa di buono e che presto darà i suoi frutti. Credo nelle mie capacità e nel mio talento e ciò è tutto quello di cui ho bisogno.

Magari per molti di voi questo discorso non ha senso; voi magari avete una famiglia che vi sta vicino, che vi sprona e vi aiuta quando ne avete bisogno, ma io no, e questo in passato mi è pesato terribilmente, perché la piccola me, una fanciulla timida, introversa e insicura, ne aveva davvero bisogno.

Ma non più, adesso.

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